Cartolina postale d'epoca, originale e autentica, non viaggiata.
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nota biografica: Italia Almirante, moglie dello scrittore e regista Amerigo Manzini, proveniva da una famiglia di teatranti ed aveva fin da piccola respirato la polvere del palcoscenico, sia in Italia che in lunghe tournée in Sud America.
A vent'anni debutta nel cinema, alla SavoiaFilm di Torino, sotto l'egida del regista Oreste Mentasti. In Sul sentiero della vipera (1912) è una giovane, timida sposa che riesce a sfuggire alle insidie di una rivale che la vuole morta per strapparle marito e danaro, ma nel successivo Bacio della zingara (1913), realizzato alla Itala-Film, il recensore de «La Cine-Fono» loda l'attrice che sostiene la sensuale parte della zingara, rammaricandosi di non poterla complimentare per nome, non citato nei titoli di testa del film. Ma quando l'anno successivo Pastrone le affida - sembra su suggerimento dello stesso D'Annunzio - il ruolo di Sofonisba in Cabiria, il nome dell'attrice diverrà noto al colto e all'inclita. Anche se la giovane Italia vi recita abbandonandosi alle più efferate convulsioni, rotolandosi su pelli di leopardo e strabuzzando gli occhi, il film costituisce per la Manzini un trampolino di lancio eccezionale. Ma la sua fortuna alla Itala durerà poco: l'arrivo della Menichelli (che peraltro è una sua lontana cugina), destinata a divenire la star della Casa, la scalza senza tanti complimenti. L'attrice farà ancora qualche film alla Itala, tra questi un Patria! (1915), vicenda d'amore e di onore ambientata nel fantastico regno di Urania, ma preferirà tornare al teatro, con la compagnia Galli-Ciarli-Guasti-Bracci; accanto alla vivace e minuscola Dina Galli, la sua figura statuaria provoca un efficace contrappunto.
Terminate le rappresentazioni, nell'estate del 1916, Italia accetta di divenire la prima attrice della Gladiator, una nuova editrice cinematografica sorta a Roma, sull'Appia nuova, fondata e diretta dal regista e produttore napoletano Ugo De Simone. La produzione della Gladiator si rivelerà in perfetta linea con i gusti del tempo: giovani sedotte e abbandonate, nobili cinici e dissoluti, eredità contese, furto di documenti, morte sacrificale della protagonista, punizione dei colpevoli, catarsi finale.
La critica si esalta nel descriverla: «Bella figura di antilope che rifulge di ottima luce» (Vittorio Guerriero), «Una Gavroche dell'amore» (Gualtiero Fabbri), l'aristocrazia del piacere, (Keraban).
I suoi film incorreranno spesso nelle maglie della censura, la quale condannerà molte scene di Femmina (1918), L'innamorata (1920) o Hedda Gabler (1920), perché «traboccanti di eccessivo sensualismo e totalmente immorali». Passata alla Fert di Torino negli anni Venti, l'attrice trova un clima più sereno e disteso: i film che vi interpreterà saranno più «nobili»» e meno accesi, in genere tratti da romanzi o lavori teatrali allora in voga: è il caso de La grande passione (1922) dal romanzo di Varaldo, I tre amanti (1922) da Zorzi, La piccola parrocchia(1923) da Daudet, L'ombra (1923) da Niccodemi, L'arzigogolo (1924) da Sem Benelli. Nel sonoro, Italia apparirà una sola volta e sarà l'ultima: L'ultimo dei Bergerac (1934) di Gennaro Righelli.
Trasferitasi in Brasile l'anno successivo, Italia continuerà ad esibirsi nei teatri di Rio o di San Paolo: in questa città morirà a poco più di cinquant'anni per la puntura di un insetto velenoso.